Marzo è dietro l’angolo e Torino si è svegliata sotto un magico cielo azzurro. Il sole inizia a farsi sentire, ricordandoci che il cambio di stagione è dietro l’angolo e presto l’aria sarà satura di grigliate improvvisate.
L’inverno è durato un attimo, ci ha illuso, giusto il tempo di montare l’albero di Natale e assistere a una breve nevicata che non ha resistito fino al mattino successivo.
Per fortuna che esistono i libri a trasportarci in luoghi lontani, dove le stagioni non sono ancora “impazzite” e dove si può sognare. Per questo ho deciso di leggere L’angelo di vetro, l’ultimo romanzo di Corina Bomann, ambientato nel piccolo villaggio di Spiegelberg, ai margini della foresta sveva, nel lontano dicembre del 1895.
Volevo conoscere Anna e le sue famose creazioni di vetro, spiarla nel suo laboratorio e seguirla in un lungo viaggio fino alla corte della regina Vittoria. Desideravo emozionarmi, diventare amica di Anna, guardare incantata la lavorazione del vetro, ma qualcosa è andato storto.
Dov’è finita la Corina Bomann che ricordavo? Quella che mi ha fatto innamorare con L’isola delle farfalle? Questo romanzo mi è stato regalato da Desperate book’s wife per Natale e, credetemi, ero certa di innamorarmi ancora una volta… ma non è stato così. Niente da dire sulla scrittura, il romanzo è scorrevole, romantico, quasi una favola, ma manca la cosa più importante: la magia. Quel tocco magico dell’autrice di farti vivere un’avventura d’altri tempi, di catapultarti in terre lontane e lasciarti trascinare in un vortice di emozioni. L’angelo di vetro sembra scritto con leggerezza, un po’ troppa, come se l’autrice cercasse di raccontare una favola senza crederci troppo. L’idea di base è molto carina e perfetta per l’uscita( nel periodo di Natale), ma questo non basta a rendere un libro indimenticabile. O almeno a terminarlo con il sorriso sulle labbra. C’erano tutti gli ingredienti per amarlo, ma la storia di Anna e delle sue creazioni di vetro, non hanno svegliato la mia curiosità di lettore. Buona la prima parte, partita con la sufficienza piena e ricca di aspettative, ma non con quel finale da far agitare la penna rossa di qualsiasi insegnante. Leggevo le ultime pagine e pensavo “avranno dimenticato ancora un capitolo, non può essere tutto così precipitoso”.
L’amaro c’è e non va via, questa favola natalizia prova in tutti i modi a scaldarti il cuore ma ci riesce solo in parte. Manca il carburante, quella scintilla che non si accende mai e ti lascia un po’ in disparte. Ed è un vero peccato, perché la storia in sé aveva del potenziale, ma non lo sfrutta. Il viaggio di Anna è avvolto in una nube di mistero, quel pizzico di giallo che stava accendendo la speranza, ma poi si è spento tutto con un soffio. Come un soffio è durato l’incontro con la regina Vittoria che non ha aggiunto niente di più alla storia.
Indimenticabile? No. Consigliato? Sì, se non avete mai letto il suo romanzo d’esordio. Così non correte il rischio di fare un confronto e restare delusi. Peccato.
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