Incontriamo Francesca Cani, autrice per la collana Youfeel di Rizzoli e per Leggereditore, che ci racconta qualcosa di sè e del suo lavoro.
Ciao Lucrezia, grazie per avermi ospitata!
Sono una sognatrice, una lettrice e una tessitrice di storie alla perenne ricerca del lieto fine. Sono romantica, una mia particolarità è che parlo come fossimo a metà Ottocento, mio marito spesso storce il naso e si chiede se non ci sia un modo più semplice per esprimersi. Il punto è che le cose troppo semplici non mi piacciono. Vivo e lavoro a Mantova, sono sposata e ho due gatti. Ogni istante del tempo che mi rimane, fra lo sport che pratico e amo molto e le passeggiate con le amiche, è dedicato alla scrittura, la mia passione da sempre, che da qualche tempo ha iniziato a darmi delle soddisfazioni. Nel 2013, insieme a Marichiara Cabrini, ho scritto a quattro mani e pubblicato per Harlequin Mondadori I colori della nebbia un romance storico ambientato a Mantova nel 1815. Il 2014 è stato l’anno di You Feel, della scatenata truppa capitanata da Alessandra Bazardi, con La cacciatrice di lieto fine, un romance contemporaneo ambientato in Irlanda. Quest’anno è iniziata la sfida di Leggereditore, un’avventura che mi sta dando tanto. Tristan e Doralice – Un amore ribelle – è uscito da poco in tutte le librerie e negli store online e mi ha donato la più grande soddisfazione per un autore: arrivare su uno scaffale della libreria. Per una lettrice come me essere con una mia creatura sulle mensole insieme alle grandi autrici straniere e italiane del romance è un onore e un grande orgoglio. Un sogno da cui non mi voglio svegliare.
Avevo una storia in mente, cercavo due nomi che fossero all’altezza di un contesto epico, di tanti personaggi storici veramente esistiti cui intendevo dare una voce. Tristan è arrivato subito come nome, lui, il mio protagonista, un eroe, aveva bisogno di un suono duro e potente. Ho provato a pronunciarlo: «Tristan» e, a parte che quando parlo mi manca la lettera r, era perfetto. Doralice è arrivato un po’ dopo, ma suggerisce l’aspetto luminoso della mia protagonista femminile ed è stato un colpo di fulmine anche in questo caso. Sono entrambi nomi letterari, Doralice lo troviamo nell’Orlando Furioso e Tristan nella saga epica di Tristano e Isotta. Cosa ho dato loro di mio? Tutto! Notti, giorni, il cuore, la ragione, due anni della mia vita. Tutto. Scherzi a parte, Tristan è attivo, irrequieto come me, devi sapere che per scrivere le sue scene di battaglia mi sono iscritta in palestra dove ho conosciuto esperti di spada medioevale. Doralice è testarda e non accetta le costrizioni, anche lei mi somiglia molto e poi è ricciolina come me.
Nasco storica dell’arte, spesso durante il weekend trascino mio marito in piccole gite alla scoperta del territorio che ci circonda. Siamo capitati a Canossa in autunno, gli alberi di noci sull’appennino avevano già accartocciato le foglie e i pendii erano gialli e ocra. I resti del castello della magna comitissa Matilda svettavano sui calanchi bianchi, come una corona fatta di pietra. Ho capito subito che lì c’era una storia. Me lo sono sentito fin dentro le ossa. Alla fine non importa molto se si sceglie un’ambientazione glamour esterofila o una cacio e ricotta di casa nostra, l’importante è il cuore. A Canossa il mio cuore batteva fortissimo.
Ce ne sono tante che mi hanno coinvolta fino alle lacrime, tante scene romantiche, di battaglia oppure legate a Matilda di Canossa, ma quella che più spesso mi torna in mente è legata all’inizio del romanzo. Siamo in una situazione in cui tutto è ancora possibile, Doralice è felice e gioca con una sguattera. La sua risata, la sua innocente esultanza mi allarga il cuore. (Ti sottolineo in giallo una frase che mi piace molto, da autrice, mi sembra cinematografica, mi fa vedere la scena, non so come spiegare…)
Doralice schizzò fuori dalla porta e varcò come un turbine il confine tracciato dall’ombra della rocca; il sole le accarezzò dolce il viso e lei socchiuse gli occhi, sciogliendo la tensione che sentiva nelle spalle. Non ne poteva più del rammendo, sentiva le dita intorpidite, aveva bisogno di aria, di vita. Senza pensarci troppo aveva trascinato con sé, afferrandola per un braccio, una delle giovani serve, che per la sorpresa aveva fatto cadere un mestolo di rame sulla terra battuta delle cucine, producendo un gran clangore.
«Prendimi!» gridò Doralice rivolta alla ragazzina, il cui pallido incarnato si colorò di rosso ciliegia sulle gote. «Forza, cosa aspetti? Rincorrimi!» Conosceva la piccola Rosa da poco, ma provava una forte simpatia per lei, forse perché era stata la prima a rivolgerle la parola quando era tornata a Lacus e si era sentita sola, sperduta in una grande casa popolata dagli spettri del suo passato. I piedi della sguattera calciavano la stoffa pesante della tunica marrone che indossava, quelli di Doralice volavano fra gli strati di lino e seta, leggeri come nuvole.
«Mia signora, siete una lepre» ridacchiò Rosa, le mani sui fianchi per riprendere fiato.
Doralice, che ormai l’aveva distanziata, si infilò fra le lenzuola stese, giocando con la stoffa, le braccia spalancate e la gioia che le ruggiva dentro. Sfuggì alle mani protese, usò il bucato per nascondersi e al contempo per allontanare la ragazzina. L’inseguimento divenne un ballo fra la biancheria e gli abiti stesi che si chiudevano e aprivano come sipari, e presto le risate si fecero irrefrenabili.
Senza dubbio Il cavaliere d’inverno, perché è un’epopea famigliare, bastata sulla vicenda realmente vissuta dai nonni di Paulina Simons. Quando si ha una così importante narrazione in casa propria credo sia profondamente giusto condividerla.
Se me l’avessi chiesto un anno fa ti avrei detto che ho sempre fatto da sola e che avrei potuto continuare così. Adesso il mio parere è cambiato radicalmente. Tristan e Doralice non ha avuto una vicenda editoriale semplice, piaceva a tutti coloro che lo leggevano ma molti avrebbero voluto amputarlo, modificare l’essenza del romanzo. Mi sono trovata davanti a una scelta: scendere a compromessi e pubblicare velocemente o credere in ciò che avevo scritto e provare altre vie, ho rifiutato la strada più semplice. Per fortuna non ero sola. Alessandra ha creduto in me e in quello che avevo scritto e ha trovato alle mie parole una via per poter essere pubblicate senza essere snaturate. Le sarò sempre grata. Alla domanda oggi rispondo che l’agente serve, eccome!
Sono ferma sostenitrice del contenuto più che della forma fisica del libro. Ci sono ottimi, strepitosi ebook e cartacei che sarebbero buoni si e no per pareggiare un tavolino zoppicante (e viceversa, intendiamoci). Quindi ben vengano gli ebook, a più facile e immediata distribuzione, e mi auguro continuino sempre a esistere nelle nostre case i buoni, vecchi e rassicuranti cartacei. Io da lettrice accanita acquisto entrambi senza distinzioni. Da autrice ho pubblicato molti racconti in formato ebook, una bellissima esperienza, mentre per i romanzi sono stata fortunata e sono sempre approdata al cartaceo.
Se mi spieghi come si può fermare il cervello anche solo per un mesetto e tirare fiato io giuro che lo faccio, ma dato che non so come si faccia, sto già pestando i tasti della mia povera tastiera. Se ne uscirà qualcosa di buono è troppo presto per dirlo. Sono immersa fino al collo nei tomi della biblioteca. Ricerca storica “mode on”.
Leave a Comment