Buon lunedì,
come state? Nell’ultimo periodo ho letto tantissimo ma recensito molto poco, quindi inizio a recuperare le letture concluse. Oggi vi parlerò del romanzo Qualcosa di buono di Michelle Wildgen, pubblicato dalla casa editrice Vallardi.
Curiosando nel web mi sono imbattuta nel trailer del film e ne sono rimasta colpita. Quando si parla di temi molto delicati, come quello della malattia, mi sento in qualche modo coinvolta e cresce la necessità di voler sapere di più.
Esiste una calamita che mi spinge nel recuperare i libri che diventeranno poi film o, come in questo caso, recuperare il libro prima di andare al cinema.
Qualcosa di buono è la storia di una giovane donna che ha tutto dalla vita e si sente realizzata, vincente e forte. Può contare su un buon lavoro, ha un marito molto desiderato e conduce una vita agiata. Peccato che questo quadretto idilliaco si infrange per colpa di tre lettere, tre lettere che sussurrate hanno un suono breve come quello della malattia che portano: la SLA.
Il lettore si avvicina a Kate quando la SLA ha preso il 60% della sua autonomia, quando le ha sottratto la propria indipendenza e costretta all’assistenza continua. Ed è qui che facciamo la conoscenza di Bec, una giovane studentessa, svampita e poco professionale, che entra come un vulcano nella vita di Kate e la farà sentire meno sola.
Qualcosa di buono è la versione al femminile di Quasi amici, ho ritrovato molte similitudini nel gestire la narrazione ma, ovviamente, diverse differenze a livello di trama.
Un romanzo profondo, che ti investe senza preavviso e ti catapulta nelle vite di due donne molto diverse, e resti a osservare gli effetti che una ha sull’altra.
Da un lato abbiamo Kate, una donna raffinata, che ha costruito la sua vita alla ricerca del perfetto equilibrio. Ha raggiunto la stabilità economica e professionale, e si sente realizzata nel raggiungimento dei suoi obiettivi. Non si può dire lo stesso di Bec che è il suo esatto opposto. Lei è disordinata, conduce una vita in bilico sotto tutti gli aspetti ed è incapace di prendersi cura di sè. Quindi come possono due donne così diverse trovare un punto in comune?
La parola chiave è semplicemente una: amicizia.
La sla ti toglie tutto, ti mette a nudo davanti agli altri e ti obbliga a rimettere in discussione le tue priorità, ma c’è qualcosa che non potrà mai strappare via ed è la capacità di provare emozioni.
Il lettore diventa spettatore della vita di Kate e assiste al veloce declino della sua indipenza motoria, ma tutto ciò non va a ostacolare quelli che sono i sentimenti e le volontà della persona malata.
Non è un libro per tutti e non è un libro che consiglio a tutti. Qualcosa di buono è difficile da digerire ed è difficile da dimenticare perchè è crudo, spietato, anche se addolcito da questa insolita amicizia che scoppia all’improvviso. Il tema della malattia viene quasi usato come pretesto per mettere in risalto la vita di Kate e Bec, una vita basata sulle differenze culturali e di età, che si mettono a confronto per ritrovarsi come donne.
Non discuto su alcune scelte della protagonista e non voglio spiegarle perchè non è mia intenzione fare spoiler, ma ho trovato alcune parti troppo frettolose per i miei gusti. Percepisco una differenza di cura tra la prima e la seconda parte, mentre all’inizio c’è molta attenzione alla descrizione dei particolari e nell’invitare il lettore a prender parte di questa storia, da metà in poi ho avuto l’impressione di voler accelerare i tempi per mettere la parola fine.
Nel complesso è un romanzo che non ti lascia indifferente e ti colpisce per la varietà di sentimenti contrastanti, e sa accendere la scintilla “del gioire delle piccole cose”. Quella semplice e minuscola felicità che molte persone perdono nelle grandi e sfuggevoli cose.
Sembra un romanzo molto intenso, dalle tematiche forti.
ps. Che bello il nuovo sito!!!!
Grazie Ale 🙂